L’identità non è lacrime e rancore

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In «Il singhiozzo dell’uomo nero», lo scrittore Alain Mabanckou esorta i suoi compatrioti a superare i torti della colonizzazione. Una tesi che ha suscitato un ampio dibattito in Francia
 

di Alain Mabanckou

L’identità è il risultato di incontri, scambi e incroci di culture. A questo proposito, ho constatato che in Europa esistono ancora certi africani convinti di avere un destino maledetto a causa di tutto ciò che hanno subito con la tratta dei neri e la colonizzazione. Di conseguenza, costituiscono la loro identità basandosi esclusivamente sulle loro disgrazie. Sintetizzo questo atteggiamento con l’espressione «Le sanglot de l’homme noir» (il singhiozzo dell’uomo nero), diventata il titolo di un mio libro che chiama in causa sia gli europei che gli africani. Volevo capire le ragioni del disagio che regna all’interno del “mondo nero” nei rapporti con il “mondo bianco”. Domande che si sono posti anche grandi nomi come Frantz Fanon, James Baldwin, Cheikh Anta Diop, Aimé Césaire.

Le sanglot de l’homme noir può essere considerato il seguito dei miei romanzi, dato che in Black Bazar, Domani avrò vent’anni o anche in Verre Cassé, mi sono sempre interrogato sulla condizione dell’uomo nero, sul suo destino in quanto individuo alle prese con un mondo che dipende sempre di più dai mezzi di comunicazione. Questa raccolta di dodici racconti si concentra sull’identità, le lingue africane, le dittature, l’immigrazione, l’indipendenza africana, il razzismo, la xenofobia e la condizione dei neri in Europa e negli Stati Uniti, partendo dalla mia esperienza personale poiché sono nato in Africa, ho vissuto diciassette anni in Francia e adesso vivo negli Stati Uniti.

È arrivato il momento che gli africani smettano di percepire la realtà soltanto attraverso il colore della pelle. Devono riconoscere, in ugual misura, le proprie responsabilità in alcune pagine della Storia.
La tratta dei negri fu un commercio certamente fonte di grande sofferenza. Infatti, l’Europa ha strappato all’Africa i figli e le figlie per deportarli negli Stati Uniti, nelle isole e altrove. Molte città francesi come Nantes, Bordeaux, Le Havre, si sono arricchite grazie al commercio di carne nera. Ma questo commercio vergognoso ha anche beneficiato della complicità dei capi tribù del continente nero. Un fatto storico che non deve essere taciuto, visto che i neri americani e gli abitanti delle Antille ce lo ricordano con una certa frequenza. Forse questo è anche la causa dei rapporti conflittuali tra i neri.
D’altronde, il tema della colonizzazione deve essere affrontato dal punto di vista dell’alfabetizzazione, perché la colonizzazione ha confuso la coscienza africana. Oggi, per comunicare tra loro, gli africani usano le lingue degli antichi colonizzatori. Un senegalese e un congolese si capiscono soltanto se parlano francese. Di conseguenza è necessario che gli africani si conoscano innanzitutto tra di loro, che imparino le lingue dei loro paesi o delle loro regioni in modo da creare rapporti nuovi, liberi da ogni filtro coloniale. Tuttavia, non è giusto deplorare uno scrittore africano perché scrive in francese, in inglese, in portoghese o in spagnolo. In Africa non è mai esistita una politica linguistica seria e strutturata. Per cui, quasi sempre gli africani sono approdati alla letteratura attraverso le lingue “coloniali”. Nello stesso tempo, molte lingue africane sono rimaste allo stadio dell’oralità e questo mi induce a pensare che noi africani, pur parlando le nostre lingue, siamo incapaci di scriverle. Un libro scritto in una lingua africana solleverà, inevitabilmente, il problema del pubblico di riferimento poiché quale valore può avere una letteratura che non viene letta dalla popolazione a cui è rivolta?

L’immigrazione, altra questione centrale, determina sempre di più le politiche europee. Oggi l’immigrato è visto come un nemico pubblico dalla maggior parte dei governi europei. Ma l’Europa, durante l’occupazione nazista e anche molto prima di allora, ha avuto bisogno di immigrati per combattere guerre che non riguardavano nemmeno il continente africano. La Francia si fidava così tanto dei “fucilieri senegalesi” che furono loro a liberarla. Brazzaville, la capitale del Congo, negli anni Quaranta fu la capitale della Francia libera perché Parigi era occupata dai tedeschi. La maggior parte dei Paesi europei devono il loro sviluppo economico all’immigrazione. Anche alla fine della Seconda guerra mondiale si è dovuto ricorrere all’immigrazione per ricostruire l?europa.
Le sanglot de l’homme noir è stato ben accolto in Francia, ma ha anche sollevato molte critiche spiacevoli, soprattutto da parte di coloro che non l’avevano letto. Io non intendo affatto negare l’importanza della storia. Non chiedo agli africani di voltare le spalle alla loro storia. Non faccio l’apologia della cultura occidentale. Non disprezzo il colore della pelle. al contrario, voglio soltanto dire che non si può costruire un’identità sulle lacrime e sul rancore. Non si può passare tutta la vita ad avere un atteggiamento accusatorio senza rimproverarsi dei propri errori o debolezze. A forza id parlare soltanto del passato ci si dimentica di affrontare il presente. Voglio invitare gli africani a cambiare atteggiamento, a sviluppare quello che chiamo “l’esistenzialismo nero”: essere consapevoli che la volontà permette di raggiungere il proprio obiettivo e di andare oltre i pregiudizi.

È perché si crede in un’idea che alla fine questa si realizza. La Storia deve essere il punto di riferimento, ma il presente deve essere la priorità. E nel presente dobbiamo includere la nostra eperienza, le nostre migrazioni, i nostri scambi e, infine, i nostri rapporti con l’Altro. Il mondo di domani non potrà più essere uno spazio chiuso, ma una casa aperta. Una casa da cui si entra e si esce quando si vuole. Insomma, Le sanglot de l’homo noir sollecita l’autonomia del pensiero e rifiuta un’identità definita dal colore della pelle.

(traduzione di Marta Matteini)

da Domenica – DOMENICA 27 MAGGIO 2012 – IlSole24Ore

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